MALATTIE CARDIOVASCOLARI

Cuore e vasi sanguigni. La pompa e le condutture del sangue. È il vero punto debole dell'umanità. Semplificando, un problema «idraulico». Si cambiano i tubi, si «stappano», si sostituisce la pompa... Ma ancora oggi non sono del tutto chiare le cause. Nonostante i miliardi di euro investiti nella ricerca, nelle tecniche diagnostiche, nello studio dei fattori di rischio, nei reparti d'avanguardia per salvare ed eventualmente recuperare chi per colpa di una «tubatura» (arteria) malata ha un infarto, un'angina, un ictus al cervello, un aneurisma all'aorta toracica o addominale, l'occlusione dell'arteria di una gamba. Insomma: malattie cardiovascolari. Nonostante i progressi scientifici degli ultimi 20 anni (le statine contro il colesterolo, i farmaci per tenere bassa la pressione, il killer tabacco), restano la prima causa di disabilità e di morte al mondo. Nei Paesi occidentali uccidono 17 milioni di persone ogni anno: il 50% del totale dei decessi, contro il 27% per tumori. Nel mondo occidentale come in quello orientale, nel Nord come nel Sud. Uguali i motivi, che però hanno peso diverso in base alle situazioni economiche e ambientali. Anche in Italia le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte, con circa 242 mila decessi l'anno. Di questi, 73 mila (il 30%) sono provocati da infarto. E un milione e mezzo di italiani sarebbero a grave rischio cuore. Secondo l'OMS, nei prossimi decenni i numeri aumenteranno. Il trend è già stimato: dagli 11,5 milioni di morti nel 2002 ai 23,3 nel 2030. E siccome si muore di meno (un solo infartuato ogni 30 se i trattamenti sono rapidi e corretti), vuol dire che ad aumentare è l'incidenza dei colpiti: meno nei giovani, ma più negli anziani che sono in continua crescita sul pianeta. Poi la disinformazione: ancora molto diffusa. «Persiste un'elevata mortalità per chi all'esordio di un infarto tergiversa e non chiama subito il 118 o non si fa portare in ospedale - dice Francesco Chiarella, presidente dell'autorevole associazione dei cardiologi ospedalieri italiani (Anmco) -. Circa la metà dei colpiti muore prima del ricovero. Mentre la mortalità crolla se si arriva subito in unità coronarica». Spesso però i colpiti non hanno segni premonitori né fattori di rischio evidenziati. Circa la metà. Le curiosità non mancano. Uno studio dopo i mondiali di calcio (maggio-luglio 2006) in Germania ha evidenziato che le partite avevano raddoppiato il rischio di infarto, angina, aritmia, ictus, negli ospedali dell'area di Monaco di Baviera, rispetto agli stessi periodi del 2003 e del 2005. Gli infartuati, nei giorni in cui si svolgevano le partite in cui giocava la nazionale tedesca, sono stati 4.279. Incidenza triplicata negli uomini, raddoppiata nelle donne. Di questi, la metà non sapeva nemmeno di avere le coronarie malate e un quarto assumeva farmaci per tenere colesterolo e pressione nei valori anti-rischio. Basta lo stress emozionale a far sballare il tutto? La sicurezza predittiva dei medici viene poi meno di fronte ad alcuni mangiatori, ipertesi e fumatori che non hanno lesioni nei vasi sanguigni. E' il cosiddetto paradosso Winston Churchill. O il paradosso francese dei mangiatori di foie gras. O quello dell'agricoltore americano che mangiava 8 uova al giorno e a 90 anni aveva le arterie «pulite». Perché? Molti si interrogano sulla filosofia delle ricerche finora fatte. La pressione alta (ipertensione arteriosa), per esempio, è un fattore di rischio. Eppure un quarto della popolazione mondiale, ovvero circa un miliardo di persone, ne soffre. E si stima che entro il 2025 gli ipertesi diverranno 1,56 miliardi, con un incremento del 60% rispetto a oggi. Non basta dire che non si curano. Il costo sociale ed economico che deriva dall'insieme delle malattie cardiovascolari supera, negli Stati Uniti, i 400 miliardi di dollari all'anno. E 463 milioni di euro al giorno (169 miliardi l'anno) nei 27 Stati membri dell'Unione Europea. Circa 50 miliardi all'anno in Italia dove tutto è a carico del servizio sanitario, dai farmaci «preventivi» alla spesa per disabilità e altro. Un problema per chi paga: Stato o assicurazioni come negli States. Avverte l'Oms: è fondamentale investire in prevenzione. Sarà uno dei temi cardine del prossimo congresso, 30 agosto-3 settembre, della Società europea di cardiologia (Esc) a Monaco di Baviera, ai cui vertici per un biennio ci sarà un italiano: Roberto Ferrari, cardiologo dell'università di Ferrara. «Al 90% si parlerà di studi che alla fine servono solo ad allargare la percentuale dei soggetti a rischio standard e a dimostrare l'utilità di un farmaco per controllare quel tipo di rischio», dice Attilio Maseri, cardiologo di fama internazionale, medico della regina Elisabetta quand'era a Londra, di Giovanni Paolo II quand'era al Gemelli di Roma, autore di oltre 700 lavori scientifici di alto livello. Ultimo incarico al San Raffaele di Milano. E oggi presidente della Fondazione «Per il tuo cuore-Heart care foundation (Hcf)» dell'Anmco. Posizione da cui lancia una sfida internazionale: «Sviluppare nuove linee di ricerca per scoprire poi i meccanismi di malattia e di protezione ancora ignoti, in grado di spiegare quei casi che più si discostano dal comportamento medio». Insomma, fortunato chi è nella media. E gli altri? Ecco la sfida di Maseri. Una ricerca che coinvolgerà i big mondiali della cardiologia. Partendo dall'enorme data-base dell'Anmco: decine di migliaia di pazienti seguiti da anni. Una novità, perché da anni sembra prevalere in medicina la ricerca privata, spesso con obiettivi di mercato. Importante ma non sufficiente. Una «rivoluzione» che dovrebbe riguardare anche altre patologie, come il diabete o l'obesità. Una filosofia di studio che tenga conto delle biodiversità umane, che investa sui casi agli estremi della media. Finora invece si è lavorato soltanto sui farmaci, senza nemmeno scoprire perché su alcuni funzionano al 100 per cento e in altri al 20. Nonostante questo la strategia più diffusa è quella di proporli comunque come vincenti. E anzi allargarne il più possibile il mercato, agendo soprattutto sull'informazione. Si gioca più sulle pillole come prevenzione che sugli stili di vita. Come mai? E chi ci rimette? La salute di alcuni (possibili effetti collaterali dopo anni di cura quotidiana, in aggiunta al fumo per chi deve smettere e non lo fa o per chi dovrebbe mangiare più sano ma prende le statine e continua nei bagordi), le tasche di tutti: servizi sanitari, privati o assicurazioni nei Paesi a sanità privata. E le malattie cardiovascolari continuano ad essere la prima causa di morte, con le donne che stanno raggiungendo gli uomini in fatto di incidenza. Eppure solo un italiano su cento chiede al medico di famiglia se rischia l'infarto. E solo sei su cento confessano di averne paura. Il primo incubo, per un italiano su due, è il tumore. Comunque restano gli uomini i più colpiti da infarto, senza differenze sostanziali tra Nord, Centro e Sud Italia. Mentre le malattie cardiovascolari sono diventate il killer numero 1 per le donne: 8.6 milioni di vittime ogni anno, nel mondo. Circa 131.000 sono italiane: molto di più di tutti i tumori messi insieme. Meno incidenza, ma più vittime. E le donne non lo sanno. Ancora l'informazione. Un infarto, per esempio, nell'uomo ha sintomi classici (dolore al petto, al braccio sinistro) ed è subito affrontato come tale. Nella donna, invece, si può manifestare con sintomi quali nausea, mal di stomaco... Si scambia con una banale influenza. E il ritardo è letale. Mancano anche i farmaci «rosa»: le aziende farmaceutiche finora li studiavano solo su maschi adulti (più stabili, non avendo cicli ormonali, e quindi più rapidi nel dare risposte). Niente donne né bambini. E la prevenzione? Un fallimento. Aumentano le giovani fumatrici, di dieta mediterranea nell'Est Europa si parla poco, le patologie del benessere consumistico (sovrappeso, obesità, diabete) sono in aumento e minano i vasi sanguigni. L'attività fisica poi è un lusso, mentre tra i bambini dilagano abitudini sedentarie (videogame e tv). Pochi sono i governi che dopo essersi fatti belli dichiarando programmi di prevenzione su larga scala li hanno messi in atto. In Europa solo in un Paese su tre esiste davvero uno screening della popolazione sui fattori di rischio, e l'attività fisica nelle scuole sembra quasi essere stata dimenticata. Eppure l'Oms calcola che fra il 60% e il 70% delle malattie cardiovascolari potrebbero essere ritardate o evitate modificando lo stile di vita e utilizzando in modo corretto i farmaci. Ma chi investe veramente su questa strada?

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