Qual è la materia prima del nostro Paese? Il cervello. La capacità di inventare. La forza delle idee. Niente petrolio, né uranio o diamanti…
E che cosa si fa in momenti di crisi mondiale come quello che si sta vivendo? All'estero rispondono, da Obama a Sarkozy: investire in ricerca. Lo ha ricordato anche Napolitano: niente tagli per favore, ha ammonito.
Nella realtà, la situazione non è rosea. Se nel 2008 ricercatori e Nobel piangevano miseria, che cosa dovrebbero fare in previsione di un 2009 in assoluta controtendenza? Ogni anno un pò si aumentava, da quest’anno i soldi scendono. Già pochi, ora meno.
E, attenzione, c’è crisi anche nelle aziende che normalmente investivano: multinazionali che si preparano a licenziare già nei loro Paesi. Pochi soldi e… produttivi. All’estero sì: i brevetti firmati da italiani tappezzano le direzioni di molte università americane.
Non è così da noi. Eccellenti le pubblicazioni scientifiche, quasi zero i brevetti. Cioè la ricaduta pratica dell'investimento nei cervelli. Era l'analisi dell'Aspen di un paio d'anni fa. Poco o nulla è cambiato. Qualcosa peraltro sta peggiorando: dai 331 milioni e 628 mila euro della finanziaria Prodi per il 2008 (che sarebbero dovuti diventare 336 milioni e mezzo nel 2009), la tabella C della manovra Tremonti in discussione taglia 35 milioni e mezzo alla ricerca sanitaria (oltre 40 se si pensa a quanto già codificato da Prodi per il 2009). Non solo. Il fondo per la programmazione e valutazione nazionale scende dal miliardo e 814 milioni del 2008 al miliardo e 744 milioni e mezzo per il 2009. Circa 70 milioni in meno.
È vero però, come dice il sottosegretario al Welfare Ferruccio Fazio, che non è questione di soldi ma di come vengono spesi. Certamente c'è da fare i conti con la crisi mondiale e con il debito pubblico italiano. Ma all'incontro di Lisbona l'accordo dei big europei era chiaro: più fondi alla ricerca. L'Italia aveva assicurato di arrivare al 3 per cento del Pil, dall'1.1 a cui era. Ora scende.
Nicolas Sarkozy docet, almeno su questo fronte. Alla crisi mondiale dell'economia, il presidente francese risponde aumentando del 50% il budget destinato alla ricerca. Per correre ai ripari, dunque, si finanziano i cervelli. E Sarkozy non è l'unico a rispondere in questo modo alla difficile congiuntura che attanaglia il mondo dell'economia e della finanza.
Anche la Svezia, prima in Europa per finanziamenti alla ricerca (4.27% del Pil), ha deciso di destinare altri 500 milioni di corone alla ricerca per il 2009.
A suggerire la 'cura Sarkozy' per aggirare la crisi è Ignazio Marino (Pd), presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale.
"Bisognerebbe - afferma a margine di un incontro sulla ricerca organizzato dalla Fondazione Lilly a Palazzo Grazioli - guardare con lungimiranza al futuro, per risollevare la nostra economia in stagnazione. Purtroppo però - ricorda il senatore Pd - l'Italia investe soltanto l'1.1% del Pil nella ricerca scientifica: si tratta di una percentuale insufficiente e ferma dal lontano 2000, che ci colloca nella fascia medio-bassa tra i Paesi industrializzati".
"Oltretutto - prosegue Marino - l'Unione europea ha fissato l'obiettivo di aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico nei prossimi anni, per passare da una media dell'1.9% al 3% del Pil entro il 2010”. Questo era l’impegno di Lisbona…
"Non demonizziamo università ed enti. Se il sistema-ricerca non funziona in Italia, la colpa è anche del Paese, che ha voluto questa situazione per anni. Cominciamo a dire no al 'posto a vita', istituendo controlli regolari ogni cinque anni per capire se si produce. Altrimenti si va casa".
La ricetta arriva da Angelo Vescovi, biologo cellulare dell'Università Milano-Bicocca e dell'Ospedale Niguarda, a margine dell'incontro organizzato all'Istituto superiore di sanità di Roma per fare il punto sulle sperimentazioni di cellule staminali contro la Sla (sclerosi laterale amiotrofica).
Ricercatore con un passato da precario, '8 anni, di cui i primi 5 gratis', e da cervello in fuga, Vescovi è disincantato quando guarda il panorama italiano.
"Da anni in ricerca si investono pochissimi fondi, la dispersione è enorme. E i soldi spesso arrivano anche 10 anni dopo la fine dello studio cui, in teoria, erano destinati", dice. Non solo. "I precari sono tanti, anche perché i posti nelle strutture pubbliche sono praticamente a vita: una volta dentro non esci più. Sono disponibilissimo a essere valutato ogni cinque anni con criteri meritocratici e, nel caso di fallimento, anche a essere mandato a casa. Con il sistema di oggi, infatti, le strutture invecchiano".
Insomma, il problema non è solo quello dei 'baroni', "che pure ci sono. È che il sistema è stato costruito male. Dobbiamo aiutare a ricostruirlo in modo razionale", aggiunge.
"Servono fondi, sennò i cervelli se ne vanno - avverte quindi Vescovi, confessandosi ogni giorno un po' più pentito per essere rientrato - Ma siamo seri: con meno dell'1% del Pil alla ricerca non si può chiedere agli studiosi di far volare le astronavi".
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